In ricordo del R. Somm. Ascianghi

22 luglio 2015 • pubblicato da Francesco Carriglio in Eventi , Notizie

Ricordo del Regio Sommergibile Ascianghi nel 72° Anniversario dell’affondamento.
Pubblichiamo l’articolo redatto dal Direttore del Museo per il quotidiano “La Sicilia” e pubblicato nel 2013

Li chiamavano “Africani” per via dei nomi esotici assegnati loro dalla Regia Marina che subito evocavano le ambe brulle e gli altopiani assolati di epica memoria per le nostre armi di quell’Africa Orientale che Italiana sarebbe rimasta solo una manciata d’anni. Quelli della Classe “Adua” erano superbi ed eleganti sommergibili di medio tonnellaggio destinati all’impiego costiero nel Mediterraneo ed il loro dislocamento massimo in superficie, poco più di 690 tonnellate, li faceva anche contraddistinguere con la denominazione di “Classe 600”. L’Ascianghi era uno di questi 17 battelli. Era entrato in servizio nel 1938 andandosene a crogiolarsi al clima mite del dolce Egeo nella base di Lero. Il primo giorno di guerra lo trovò a Cagliari, prima delle tante basi da dove avrebbe iniziato ad operare su tutte le varie rotte del Mediterraneo.
Quelli di bordo dimostrano subito di essere gente nobile d’animo, cosa non rara, tra l’altro, tra i nostri sommergibilisti. Così, quando il 21 settembre 1941 il T.V. Olinto Di Serio ed i suo ragazzi al largo di Beiruth mandano a fondo la petroliera nemica Antar, rischiano consapevolmente non poco ad attardarsi sul punto dell’attacco ma al solo fine di consentire all’equipaggio del mercantile di mettersi in salvo prima li lanciare le coppiole di siluri. Rischia ancora il 3 novembre 1942 il nuovo comandante T.V. Rino Erler ordinando l’emersione allorquando avvista al periscopio una ventina di naufraghi di un aereo tedesco abbattuto in pieno Mediterraneo: gli intirizziti kameraden dovranno la vita alla gente dell’Ascianghi. Marinai d’animo e di stile questi sempre pronti però a fare bene il loro compito. Il 15 successivo, al largo dell’Algeria, l’ “africano” cola a picco in piena notte con due siluri il dragamine veloce di squadra inglese Algerine, già famoso per i guai che aveva provocato alla nostre navi disseminando le sue mine nel Canale di Sicilia.
Poi, nel 1943, le sorti della guerra girano, si apprestano le fosche nuvole della sconfitta, le unità sono provate, inizia a scarseggiare tutto, anche gli uomini. L’Ascianghi, esce dal bacino ed imbarca il suo nuovo Comandante, il S.T.V. Mario Fiorini, un giovane ufficiale il cui grado segna l’emergenza che travolge ogni cosa. L’eccezione, forse l’unica, del comando di un sommergibile affidato ad un ufficiale di grado inferiore al Tenente di Vascello, è il segno del tempo che non c’è più e che adesso costringe a mandare per mare tutto quel che si può, mezzi ed uomini. Oltre al comandante, infatti di ragazzi a bordo ce ne sono tanti, specie tra i marò, rispetto a qualche sottufficiale che la guerra se le già vista tutta. Non è da solo il comandante, con la sua giovane età: imbarca anche con il suo tenero grado chi ha ancora meno anni di lui, un Aspirante Guardiamarina.
Nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1943 gli Alleati avevano iniziato l’invasione della Sicilia. Siracusa era stata occupata la stessa sera del primo giorno d’invasione. Il pomeriggio del 12 successivo i Commandos si erano arroccati sul primo lembo di un’Augusta deserta, salendo le balze sabbiose della Cala sotto la Madonna delle Grazie. La Piazzaforte, temuta da Malta per tre anni, era stata presa del tutto la mattina del giorno successivo dal grosso delle forze giunte via terra. Le cornamuse scozzesi iniziavano allora la corsa verso la piana di Catania che sarebbe stata tutt’altro che agevole. Sul mare, gremito di navi alleate di ogni tipo, mercantili e militari, l’intenso traffico in entrata ed uscita dai porti di Siracusa ed Augusta già riutilizzati dai nuovi occupanti, è ancora l’occasione per italiani e tedeschi di mettere a segno qualche risultato. I nostri, in particolare, eseguono in silenzio gli ordini ricevuti, restando al proprio posto, col cuore in gola, ben sapendo che la partita è già perduta, al fianco di un alleato diffidente e di un avversario spesso assai irriconoscente. La vita è in gioco ad ogni istante, forse per nulla, oramai.
Il 17 luglio 1943 l’Ascianghi lascia Pozzuoli diretto dinanzi alla costa della Sicilia orientale, unico battello tra quelli in azione in quei giorni al quale venne mantenuto l’ordine di restare in agguato sottocosta, ad appena una manciata di miglia al largo di Augusta, oramai base “nemica”.
Nella tarda mattinata del 23 luglio l’eccitazione serpeggia a bordo quando un incrociatore col suo codazzo di caccia di scorta in uscita dalla rada compaiono al periscopio dinanzi agli occhi del giovane comandante. Alle ore 13.41 l’ incrociatore leggero britannico Newfouland è colpito da un siluro a poppa; i danni al timone sono rilevanti, un marinaio muore nello scoppio. La nave non affonda e manovrando con le macchine inizia ad arrancare ferita verso Malta. Non è stato però l’Ascianghi a colpirla, sebbene così per anni si sarebbe poi creduto. In quelle ore nelle stesse acque c’è infatti anche un U-Boote tedesco, l’U-407 comandato dal bravo Kapitänleutnant Ernst-Ulrich Brüller che, ironia della sorte, ha lanciato anch’esso i suoi siluri verso le navi inglesi ed è riuscito a riguadagnare il largo. L’Ascianghi nel frattempo ha invece serrato rischiosamente la distanza verso le sei unità di scorta e lancia due siluri verso il cacciatorpediniere di testa della formazione. Alle ore 15.41 il Laforey è sfiorato di poco dalla scia di uno dei siluri lanciati dal nostro sommergibile.
Il contrattacco sul battello italiano è immediato. Il Laforey, scampato il pericolo, è subito portato dal suo comandante Capt. Reginald Maurice James Hutton verso il punto già individuato di origine della scia dei siluri; lo segue, un altro cacciatorpediniere, l’Eclipse, comandato dal Cdr. Edward Mack. A poppa delle due navi gli equipaggi sono pronti alle tramogge per scaricare in mare le cilindriche cariche di profondità. Inizia così il lancio delle depth charge con centinaia di chili di micidiale Torpex pronte a fare il loro terribile lavoro. Due sono particolarmente letali causando danni incontenibili per l’Ascianghi a poppa ed prora. Il battello precipita verso il fondo, oltre la quota di sicurezza, chissà di quanto, ed ora sta ora per essere distrutto dalla pressione. Riemerge, fortemente appoppato: i primi iniziano a salire in torretta, per brandeggiare forse futilmente verso il nemico il cannone od una mitragliera, per rivedere il sole l’ultima volta o tentare di salvare la vita quando le armi taceranno. Loro l’hanno fatto tante volte; il nemico vorrà farlo con loro. I proiettili da 120 millimetri delle artiglierie inglesi piovono invece impietosamente sullo scafo, mentre le sventagliate delle mitragliere nemiche spazzano la plancia. Chi è allo scoperto muore, per la deflagrazione delle granate che arrivano precise squarciando tutto, per l’inferno che i colpi e le schegge che Bofors e Vickers scatenati a distanza ravvicinata riversano sulle lamiere esauste del sommergibile. Il Comandante si prodiga nell’aiutare i suo ragazzi a lanciarsi in mare, specie con quelli più restii. In ventitré non c’è l’hanno fatta, ventitrè ragazzi. Anche quell’Aspirante Guardiamarina, Mario Marinelli, 20 anni. Ferito gravemente, urlava di dolore e chiedeva aiuto. Il timoniere Salvatore Grande assieme al compagno Giorgio Bergani, già in acqua, tentano quantomeno di riportarlo sul sommergibile ancora in galleggiamento. Lo prendono tra le braccia pronti ad issarlo, ma lo scoppio di un’ennesima granata lo raggiunge prima: il suo corpo squarciato scivola per sempre in acqua, scomparendo tra le onde.
L’Ascianghi affondò di poppa alle ore 16.30 circa undici miglia al traverso di Magnisi. I sopravvissuti furono 27.
Il Museo della Piazzaforte di Augusta onora oggi il ricordo di quell’evento e la memoria dell’equipaggio del Regio Sommergibile Ascianghi esponendo un superbo modello del battello e l’elenco nominativo dei suoi Caduti.

Antonello Forestiere
Direttore “Museo della Piazzaforte”




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