Augusta: Piazza Marittima di frontiera dal XVI al XX secolo
[ Dalla Guerra Italo-Turca 1911 ]

Augusta - Nell'900

Dal Convegno Internazionale su "Frontiere e Fortificazioni" tenutosi a Firenze e Lucca dal 3 al 5 dicembre 1999.



Quella che appare una situazione senza sbocco, registra un’imprevista battuta d’arresto nel 1911, in coincidenza con le mire italiane sulla Libia. Per toglierla ai turchi con la forza, si rende infatti indispensabile organizzare un’operazione anfibia di vasta portata, che abbia come trampolino una base il più possibile avanzata, in grado nel contempo di ospitare un gran numero di bastimenti.

Ad entrambe le esigenze può rispondere solo Augusta che così, dall’oggi al domani, diviene in settembre la “base passeggera” per le operazioni; il dispositivo è tale da potersi appoggiare per la logistica a quanto v’è già sul luogo, mentre alla difesa provvedono 3 batterie che vengono dislocate a guardia della rada. Naturalmente, al cessare dell’esigenza la base verrà smobilitata; ciò avviene nel maggio 1912, relegando nuovamente Augusta nella condizione d’origine. V’è stata -è vero- una presa di coscienza a vari livelli sulle grandi possibilità offerte dalla sua rada, a condizione di crearvi però le necessarie infrastrutture; ma lo scoppio del conflitto europeo, e la circostanza d’essere l’Adriatico il maggior teatro delle operazioni navali per l’Italia, toglie utilità alla creazione di grandi apprestamenti in Sicilia, lungo le cui coste si registrerà infatti solo una saltuaria attività di sommergibili nemici  (13). Il 18 marzo 1918, uno di questi penetra a mezzodì nella rada di Augusta e, a quota periscopica, silura e vi affonda una carboniera, allontanandosi indenne. Nel gran contesto della guerra, il fatto è tale da passare inosservato, ma in sede locale esso assume invece una non trascurabile rilevanza: la vulnerabilità dell’ancoraggio, indipendentemente dal mutare della minaccia, ne viene ancora una volta confermata.   Ed allora, nel caso si volessero si vorrà -assegnare ad Augusta un ruolo, che sia più del semplice appoggio per la squadra navale, il problema andrà affrontato alla radice. Chi se ne fa carico è lo stesso Mussolini che, nel momento in cui afferma nel maggio 1924 di voler creare qui una vera base navale, dà un impulso determinante alla costruzione della diga foranea, i cui lavori erano iniziati, ma solo in sordina, nel 1917. D’ora innanzi, vi saranno impiegati mezzi e materiali adeguati a quella che si configura come una grande opera marittima di sbarramento, lunga 6 km, poggiata su fondali che in taluni tratti raggiungono i 45 metri e capace di resistere a mareggiate di “forza 8”. Quando nei primi anni ‘30 il grosso dei lavori è ultimato, rendendo infine sicuro un bacino di ben 20 kmq, si è però completata solo la prima fase di un più ampio progetto. Ad accelerare i tempi per la successiva contribuiscono, nel 1934, il fallimento della Conferenza internazionale sul disarmo, il conseguente aumento della tensione in Europa e la stessa politica espansionistica che l’Italia va sempre più perseguendo. Stabilito, quindi, che la rada di Augusta - ormai protetta - dovrà essere in grado di ospitare in permanenza una divisione navale, oltre a naviglio insidioso (Sommergibili e Mas), ma all’occorrenza anche l’intera squadra garantendone il rifornimento di combustibili, viveri, munizioni e quant’altro, non rimane che porre mano alla costruzione degli apprestamenti e relative difese fisse, il tutto organizzato in una poderosa piazza marittima che ha un perimetro di 52 km ed un fronte a mare di 38; questa volta, infatti, non è la sola Augusta ad essere chiamata in causa, ma anche la vicina Siracusa, facendo così giustizia delle vecchie dispute sulla prevalenza strategica dell’un sito sull’altro, laddove si tratta invece più concretamente d’integrazione dei rispettivi ruoli. Questo fervore di opere, che può trovare un precedente solo nell’intervento seicentesco del de Grunembergh, occupa la seconda metà degli anni ‘30; cioè, un arco di tempo oggettivamente limitato. Quando già in Europa comincia a divampare la 2a guerra mondiale, la piazza conta una ventina di batterie, tra le antiaerei e le navali, quest’ultime aventi il punto di forza nella torre binata da 381 mm in caverna, nel promontorio di Santa Panagia (14). A rigore, manca il tiro terrestre sul rovescio della piazza; ma -onestamente- non appare credibile, in quegli anni, che un nemico possa osare d’invadere la Sicilia: perché di questo si tratterebbe. L’avvistamento dell’avversario a distanza, è affidato al gruppo idrovolanti da ricognizione marittima, che qui dispone d’un ottimo idroscalo; ed in quanto alla divisione permanente, essa è considerata “forza silurante d’immediato impiego nel Canale di Sicilia”complesso apparato quindi, predisposto non solo a difesa, ma per consentire proiezioni di potenza; il che indurrebbe -quasi- ad estrapolare il concetto di frontiera marittima, conferendole mobilità allorché da esse ci si prefigga d’impedire all’avversario il libero uso di un settore di mare: come dire, una virtuale dislocazione della frontiera in posizione più avanzata. In concreto, la piazzaforte consegue già con la sua esistenza il risultato d’impensierire il nemico: appena l’Italia entra in guerra, nel giugno ‘40, la Mediterranean Fleet si appresta, infatti, a bombardarla subito; poi vi rinuncia e lascia il compito d’attaccarla all’aviazione imbarcata, che il 10 luglio silura in rada un caccia, affondandolo e beffando le difese. Altri attacchi aerei, per altro inefficaci e portati da pochi, antiquati velivoli dislocati a Malta, segnano il primo periodo di ostilità, dimostrando da parte avversaria una condotta delle operazioni decisamente aggressiva, che troverà il suo momento di maggior rilievo in novembre  con l’attacco a Taranto, disastroso per la squadra navale. È quanto basta per far decidere alla Marina l’arretramento delle unità maggiori nel Tirreno. In quanto ad Augusta, il suo ruolo viene fortemente ridimensionato nel Convegno di Merano del febbraio ‘41, nel momento in cui si conviene che “la base meglio ubicata sarebbe Augusta, ma la sua vicinanza a Malta ne vieta l’utilizzazione per il grosso delle forze, finché Malta non sarà sufficientemente neutralizzata”. E poiché ciò non avverrà, vi si motiverà per il resto della guerra soltanto una dislocazione di sommergibili e mezzi d’assalto, oltre ai già citati idroricognitori (15).

AUTORE: Tullio Marcon [ © Proprietà Letteraria Riservata ]


A cura della Redazione