Augusta: L’assedio al Castello da parte di Giacomo II d’Aragona XIII sec.

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Inserto Pubblicato dalla Redazione 3 Giugno 2023



L’avvenimento di maggior rilievo di dissenso che riportano gli storici tra Augusta e Giacomo II d’Aragona (detto il giusto) è senz’altro per l’assedio al Castello che avvenne nel 1287 ad opera del sovrano aragonese.


Nell’epoca delle narrazione storiche entrano a far parte personaggi come ombre di cui si conoscono i fatti ma non i nomi che appoggiarono gli eventi bellici rivoluzionari. Accanto alla politica ufficiale correva parallela una politica oscura e fuorviante che alimentava congiure e tradimenti e di segrete intelligenze con il nemico. Questa formazione antagonista risale al 1265, periodo in cui erano ancora in vita i predecessori degli attuali contendenti. I fatti narrati da alcuni storici esprimono una diversa valutazione della figura di Alaimo da Lentini , persona espertissima nelle armi e nelle azioni di guerra, uomo di senno e di cuore che teneva al destino della Sicilia, scrive Pisano Baudo rifacendosi alla considerazione di altri storici, mentre in maniera diversa giudica lo Smith riportando il brano seguente: “Molti di quelli che si erano ribellati nel 1282, per ottenere un nuovo governo meno arbitrario e più condiscendete per i loro interessi, furono presto delusi”. Perciò alcuni baroni e nobili siciliani cominciarono presto ad integrarsi con gli angioini avendo abbandonato Manfredi per Carlo d’Angiò, in seguito abbandonarono anche Carlo per unirsi al barone Pietro per ottenere privilegi e possedimenti ancora più estesi. In questo intrigato groviglio di macchinazioni, tradimenti e furbizie si trova anche il nome di un augustano, “Il nobile Pietro Ariccio, detto Pieraccio” che favoriva segretamente i nemici atti alla rivolta tendendo le file di una trama a danno della patria (Augusta). In questa falsa diplomazia sotterranea non partecipa la Chiesa ma invia in Sicilia due frati domenicani, fra’ Pirrone di Aidone e fra’ Antonio del Monte che si inseriscono nel gioco degli intrighi e delle parti in preparazione del ritorno trionfale degli angioini nell’isola. I frati erano stati ricevuti dall’Abate di Maniaci a cui avevano consegnato la bolla pontificia contenete la revoca della scomunica a tutti quei siciliani che avessero abbandonato il re aragonese e avessero favorito il ritorno degli d’Angiò. L’abate Maniaci aveva nascosto nel Monastero di Santa Maria della Scale a Messina i congiuranti angioini e la rivalità tra gli Ordini religiosi era crescente, chi si schierava da una parte e chi dell’altra. Il frate dell’Ordine dei minori fra’ Simone scopre la congiura dei due monaci domenicani e li denuncia al governo. I due frati domenicani confessano, non vengono puniti ma trasferiti a Napoli, in modo da pubblicizzare la clemenza degli d’Angiò, ma non fu cosi i due frati domenicani poco onesti raccontarono molte bugia da infangare la figura degli Angiò. Nei primi di marzo del 1287, dice lo scrittore Salomone in contrasto con Nicastro che indica come data il 15 aprile, la flotta angioina salpa da Brindisi per destinazione ignota. Sulla quantità di navi che formavano la flotta non vi è coerenza tra gli scrittori dell’epoca, chi asserisce che erano quarantaquattro galee, chi parla di quarantaquattro triremi e chi asserisce di una flotta composta da novantaquattro fra galee ed altre navi minori. Il comando supremo è conferito al Conte Avellino, Rinaldo del Balzo, affiancato, in nome e per conto della Chiesa, dal vescovo di Martorano. L’arrivo della flotta angioina nel porto di Augusta è datata Mercoledì 1° Maggio 1287, giorno in cui Augusta è deserta poiché parte degli abitanti si è trasferita a Lentini in occasione della fiera agricola e di animali per l’allevamento. Il dubbio è che questa fuga aveva uno sfondo di dissenso perciò che stava per accadere, difatti a Lentini si sono trasferiti uomini, donne, bambini e in città sono rimasti solo invalidi e vecchi infermi. Sembra quasi verosimile l’ipotesi dell’abbandono della città da parte degli augustani che si sia proprio verificato alla prima percezione sullo sbarco dei francesi per il quale i cittadini temevano che si potesse ripetere la strage compiuta vent’anni prima da Guglielmo Stendardo. Gli storici scrivono, per non ferire l’orgoglio augustano, che non fu una fuga ma la partecipazione ad un evento commerciale in un paese limitrofo. Alla notizia della presa di Augusta Giacomo II d’Aragona reagisce e ordina al suo ammiraglio Ruggero Lauria di approntare una flotta navale adeguata con la quale trasferirsi a Catania per poi formare un esercito anche con uomini del luogo (mercenari ben pagati), in modo da sferrare un attacco simultaneo sia da terra che da mare contro i francesi che occupavano Augusta. Dopo lo scontro navale a poche miglia dal golfo di Augusta la supremazia aragonese sconfisse le unità angioine. Gli Aragonesi entrarono nel porto e decisero lo sbarco nella penisola dalla parte sud (Terravecchia), l’Ammiraglio Lauria con i suoi uomini, per tre volte fu respinto dai nemici, decise così di avvicinarsi con le galee alle pendici della penisola e usare le armi da fuoco, in tal modo gli uomini dell’ammiraglio trovarono facile accesso alla città conquistandola e con l'aiuto dell’esercito aragonese proveniente da Catania conquistarono il Castello. Il comandate supremo della Piazza d’Armi divenne Renato del Balzo, che costruì un perno di resistenza per eventuali invasioni o conquiste della fortezza. L’ammiraglio Ruggero Lauria, conquistati la città e il Castello, alzò lo stendardo di Giacomo II d’Aragona. Esaurita l’impresa, l’ammiraglio abbandona Augusta con le sue galee dirigendosi in Puglia.
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