L’EUROPA CAMBIA COLORE

Notizia

Comunicato del nostro inserzionista del 25 novembre 2013

L’Africa è sempre più vicina a noi e non solo geologicamente, non possiamo ignorare infatti, che sulla nostra terra siciliana è arrivata una folla di donne, uomini, bambini, dalla terra africana. Partono da luoghi dove c’è la guerra o dove c’è la fame e viene raccontato loro che su, al nord del mondo, c’è lavoro e benessere e la loro vita sarà migliore. Intraprendono un viaggio lungo e pericoloso, per correre incontro ad un sogno che, in molti casi, si conclude in una bara , o peggio,in fondo al mare. Questo è quanto ci ha raccontato uno dei settanta ragazzi africani che stazionano attualmente nel centro di accoglienza presso Priolo, a due passi da Augusta e da Siracusa. Lui si chiama Momodou Lamin, ha 16 anni, è partito dal Gambia, dalla città di Serre Kunda ed ha attraversato il Senegal, il deserto del Niger e della Libia, è salito su una barca fatiscente ed è poi arrivato nelle acque internazionali, è stato poi trasbordato su una imbarcazione italiana di cui ricorda bene anche il nome: Napoli. E’ la barca che gli ha salvato la vita, che non lo ha lasciato in balia di quelle onde che hanno inghiottito tanti altri fratelli e sorelle della sua razza. Momodou è un ragazzo dolcissimo, parla in inglese, lingua che ci ha permesso di dialogare, oggi grazie alle insegnanti volontarie che vanno presso questo centro, luie tanti altri stanno imparando l’italiano, perché sperano di poter trovare un lavoro qui o in nord-europa, dove alcuni di loro forse hanno parenti. In questo centro ci sono tutti ragazzi minorenni, tra i 15 e i 17 anni che provengono dal Gambia, dal Senegal, dal Mali, dalla Guinea-Bissau, dalla Somalia, dalla Siria. Sono tutti musulmani tranne due che sono cristiani. Sono in questo centro chi da un mese, chi da tre mesi. Alcuni di loro sono già stati portati in case famiglia presso altre città, per inserirli nella società, si spera anche con un lavoro. Tutti i ragazzi sono accoglienti, salutano con gioia chi arriva da loro. Gli occhi mostrano un certo smarrimento, chi non lo avrebbe dopo un viaggio a dir poco avventuroso, come quello che hanno affrontato loro. Mesi attraverso il deserto, con un caldo indescrivibile, dice Momodou. Salire su una barca, per molti di loro che vengono dalle terre interne, era la prima volta. Non avevano mai visto il mare e dunque non sapevano neppure nuotare, si sono imbarcati su natanti insicuri e sovraccarichi all’inverosimile, anche mettendo a rischio la propria vita, e di questo nessuno li aveva avvertiti! Le condizioni di questo centro non sono delle migliori, ma per loro stare qui è già meglio dei luoghi da dove provengono. Non abbiamo avuto modo di vedere le stanze dove dormono, ma hanno una stanza dove studiano con i volontari, hanno uno spazio dove possono giocare a calcio ed hanno una tenda come luogo di preghiera. Ci siamo trovati al centro di accoglienza all’ora del tramonto, che per i musulmani è un momento di preghiera, alla quale si preparano con un rituale di lavaggio del proprio corpo. Avevo sentito, da un caro amico che svolge volontariato nella Repubblica Democratica del Congo, che in Africa ci si lava con mezzo litro d’acqua, ma vederlo fare è stato incredibile! Pur avendo a disposizione acqua a volontà dai rubinetti dei bagni del centro di accoglienza, tutti coloro che si accingono a pregare, non perdono l’abitudine di questo rito della pulizia del corpo, che si svolge all’aperto, prima di entrare nella tenda della preghiera. Non consumano più di mezzo litro d’acqua: cominciano con le mani e le braccia, poi passano al lavaggio dei loro bianchissimi denti (senza dentifricio), poi lavano il volto e accuratamente le orecchie e infine i piedi. Non si asciugano ed ora comincia a fare freddo fuori! Poi entrano scalzi nella tenda e pregano. Quando ci capita di parlare di questi ragazzi, ci chiedono cosa può servire: scarpe, abiti…. Certo di queste cose hanno bisogno, soprattutto perché sono arrivati in estate ed ora è già inverno. Ma soprattutto hanno bisogno di gesti d’amore, di sorrisi, di abbracci. Ad ognuno di loro è stato assegnato un tutore, qualcuno di essi è molto presente e li porta a casa propria, compra loro ciò che è utile alle loro necessità. Purtroppo ci sono anche tutori che non sono mai venuti a vedere il ragazzo di cui si dovrebbero occupare e ci sono ragazzi che non sono mai usciti dal recinto del centro di accoglienza. Cosa possiamo fare per loro? Stargli vicino se ci è possibile, aiutandoli come possiamo. Auguriamoci che possano trovare famiglie disposte a prenderli in affidamento o case famiglia dove possano giungere alla maggiore età per poter decidere come continuare il loro cammino per l’Europa, per <colorare> sempre più l’antico continente che, in verità, non vuole subire questi cambiamenti.

A cura di Nella Ternullo.