Augusta – L’acqua, bene primario. L’Acquedotto federiciano.

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Inserto Pubblicato dalla Redazione il 24 Luglio 2021

L’acqua, bene indispensabile alla vita, elemento primario per le attività agricole, per cucinare e per l’igiene personale. Quando nell’antichità ci si accingeva a realizzare un nuovo insediamento stabile umano, la fonte di approvvigionamento dell’acqua era la prima cosa che occorreva essere sicuri di avere nel territorio. Fu così anche per gli abitanti di Megara Iblea, che si stabilirono in quella porzione di territorio grazie alla presenza dei torrenti Cantera e San Cusumano.

Nella penisola Xifonia (l’odierna Augusta) gli abitanti potevano usufruire di una irrisoria quantità d’acqua per le necessità quotidiane, ottenuta, più che altro, raccogliendo e conservando quella piovana. All’estremità Sud della penisola, nella piana di Terravecchia, vi era però la Caradea, una sorgente d'acqua naturale sottostante il piano stradale che filtrando dagli strati di argilla e attraversando il solco formatosi nella pietra arenaria sfociava in superficie. (Francesco Vita: Inesto storico). L’intervento dell’uomo, che scavò il sottosuolo per prelevare la pietra arenaria per la costruzione degli edifici, mutò però lo stato del luogo e la sorgente fu destinata a scomparire. Federico II di Svevia, elevando Augusta a zona di estrema importanza strategica, tra le tante opere ingegneristiche da lui compiute, decise allora di fornire alla città l’acqua di cui aveva estremo bisogno realizzando un acquedotto. Sempre citato da Francesco Vita nell’Inesto storico, gli antichi augustani poterono così usufruire dell’acqua proveniente dalla Fontana della Monaca, risorsa d’acqua di cui, ad oggi, non si conosce l’antica esatta l’ubicazione. Un’opera imponente che, attraverso torri, condotti e canali, consentiva all’acqua di giungere alla città per gravità. Si trattò di un’ opera federiciana di grande importanza, che va considerata come primo acquedotto augustano, così come viene riportato nelle sue vestigia. A quanto si narra, l’Acquedotto Federiciano venne distrutto in epoca non datata, ma si suppone avvenuta prima dell’anno 1653; non è escluso che la sua scomparsa potrebbe essere collegata anche al terribile terremoto del 1541. Resta il fatto che dell’acquedotto di Federico non è purtroppo rimasta traccia alcuna, almeno nella parte visibile, con grande rammarico da parte degli studiosi. I suoi ruderi furono sicuramente riutilizzati come pietra lavorata per le nuove costruzioni. Nonostante ciò la città era comunque in crescita e gli abitanti non avevano nessuna intenzione di abbandonare il luogo, quindi non rimaneva che adottare nuovi espedienti che potessero fornire l’acqua di cui la città aveva bisogno. Grazie alle nuove tecnologie che lentamente si facevano sempre più spazio, gli augustani iniziarono a scavare pozzi nella zona abitata del paese fino al raggiungimento dello stato di argilla del sottosuolo. Si veniva quindi a creare una “conca” impermeabile, che veniva alimentata dall’acqua della Caradea e nel contempo, con vari accorgimenti, si riusciva a raccogliere negli stessi pozzi anche l’acqua piovana. Uno dei pozzi più grandi e profondi fu quello di “Basilio” sito nell’atrio del Castello Svevo. L’acqua di questo pozzo aveva un sapore dolciastro o salmastro, che dipendeva dal vento che lambiva le falde (venti Aquilonari). L’acqua dei pozzi non era sempre potabile o batteriologicamente pura e per berla doveva essere bollita, per evitare malattie. Durante il periodo estivo, con il caldo torrido, i pozzi erano però soggetti ad inaridirsi. Una sorgente d’acqua pulita e sempre fresca era però disponibile nella battigia ad Ovest del porto, poco a Sud-Ovest della foce del Cantera, luogo dove vi si poteva giungere via mare o percorrendo una trazzera comunale. Ancora, nel 1842, il primo censimento dell’acqua pubblica citava il fiume Mulinello, con particolare riferimento alla diramazione che non alimentava i mulini, questa fonte d’acqua era denominata San Guzmans, dove i cittadini potevano attingere e prelevare l’acqua. Vista la distanza dal centro abitato, il trasporto avveniva tramite imbarcazioni predisposte o tramite carretti opportunamente attrezzati, al traino di animali da soma. Le imbarcazioni partivano dalla fonte e giungevano al molo di S. Andrea, dove vi era un fabbricato contenente dei serbatoi in legno a forma di botte ove si versava l’acqua trasportata con i barili. Successivamente, essa veniva venduta al mercato dai traghettatori, i cittadini pagando solo il costo del trasporto. Questa è solo una parte che tratta "l’acqua bene primario dei cittadini augustani", un semplice inserto informativo e non certamente un trattato storico.
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Immagine copertina: foce della Cantera


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