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Guerra e Sopravvivenza ad Augusta
Inserto
Inserto pubblicato da Francesco Carriglio nel Febbraio 2004
Mi chiamo Domenico Messina, sono nato ad Augusta da Francesco e Nunziata Pitruzzello. Sono uno dei tanti figli di questa terra bruciata dal sole chiamata Sicilia, cresciuti sotto le bombe e gli stenti di quella cosa che i "grandi uomini del tempo" chiamavano guerra. Quello che sto per raccontare non vuole essere un trattato sulla guerra o sugli avvenimenti di quel periodo per le zone della nostra città. Per questo ci sono gli storici e gli studiosi, più idonei di me nel descrivere cosa realmente accadde in quel tempo. Io voglio solo dare una testimonianza diretta di tutto ciò che un ragazzo come me ha provato in quei giorni tanto terribili, tutto ciò che ho visto, gli episodi nei quali sono stato coinvolto e che, mio malgrado, hanno segnato indelebilmente la mia vita. Sono nato ad Augusta, importante base militare della allora Regia Marina, il dieci di Agosto del 1932 da Francesco e Nunziata. La nostra era una famiglia contadina, e gli anni che sto per descrivere erano particolarmente duri per tutti; il lavoro scarseggiava, ed anche quando si riusciva ad ottenerlo spesso la paga non era sufficiente ai bisogni di famiglie mediamente numerose come erano quelle del tempo. La campagna, la pesca, la pastorizia ed il piccolo artigianato erano le sole fonti di sostentamento del tempo unite al lavoro delle saline; le braccia erano tante quanto la fame che spesso metteva a dura prova una popolazione bisognosa di sviluppo. Per questo motivo ogni componente doveva contribuire ai bisogni di tutti, quindi anche noi ragazzi ci dovevamo impegnare per quello che potevamo fare. In estate, con le scuole chiuse, in campagna il lavoro si moltiplicava per via della mietitura del grano, che veniva tagliato con la falce sotto il sole cocente e torrido della nostra bella isola. E così tutti in campagna ad aiutare i grandi, tutti "imbarcati nella stessa barca", tutti impegnati nell'arduo compito di portare un pezzo di pane a casa. Ma Augusta non era un posto qualsiasi, il suo porto rivestiva e riveste tuttora un importante ruolo strategico sullo scacchiere militare, ed era quindi logico attendersi forti ripercussioni in caso di conflitto bellico. Infatti, non dovemmo attendere molto per avvertire gli effetti della guerra: bastarono solo pochi mesi per fare la conoscenza dei bombardamenti alleati. Le incursioni venivano effettuate prevalentemente di notte da aerei nemici provenienti da Malta, la difesa era affidata a circa 14 batterie contraeree formate da quattro o cinque cannoni e due o tre mitraglie ciascuna. Dentro il porto sostavano le navi da guerra della flotta, che, come seconda difesa in caso di attacco, issavano a prora e poppa i palloni frenanti gonfiati ad idrogeno. Gli aerei nemici che riuscivano a superare il primo sbarramento della contraerea si trovavano così di fronte un "muro" difficile da superare, soprattutto quando gli attacchi venivano condotti in picchiata ed a bassa quota. In fase di picchiata degli aerei i cannoni della contraerea cessavano di sparare per dare spazio alle mitraglie, dotate di proiettili traccianti che da terra si alzavano verso il cielo: era uno spettacolo tragico ma spettacolare allo stesso tempo, soprattutto se visto con gli occhi di un ragazzo che a tutto pensa tranne che alla morte ed al pericolo. Toccare un pallone frenante o il cavo di acciaio al quale è ancorato significava la fine del velivolo e del pilota. Era un vero spettacolo vedere tutti questi palloni, soprattutto quando in rada le navi erano particolarmente numerose. Poteva accadere anche che qualche pallone, in caso di perturbazione, colpito da qualche fulmine prendesse fuoco a causa dell'idrogeno contenuto al suo interno. In questo caso esso si staccava ed in base alla forza ed alla direzione del vento poteva andare ad incagliarsi su qualche albero; era quello che tutti noi ragazzini aspettavamo, il motivo per il quale, in caso di maltempo, eravamo pronti a cogliere l'occasione che si presentava. Questi palloni erano infatti costruiti con tela cerata, materiale prezioso e quasi introvabile a quel tempo, e portarne a casa un bel pezzo significava farne materiale con il quale le mamme e le nonne potevano confezionare abiti, borse, forti manufatti resistenti all'acqua ed in grado di dare calore.
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